Terzo titolo per la 30enne scrittrice napoletana Daniela Fusco che dopo “I miei primi 30 anni: irriverente manuale dell’uomo moderno (Graf)” del 2009 e “31 salva tutti: dove trovare l’uomo giusto sbagliando tutti i posti” – che l’avevano proposta al panorama letterario come un clone partenopeo della Littizzetto -, abbandona la manualistica ironica e ci propone “La fata supina (pagg. 128, euro 8; La bottega delle parole)”, una storia fresca e contemporanea con un contenuto giallesco, che di questi tempi è l’ingrediente principale per essere visibili in libreria.
C’è Gabriella D’Amore un’appena quarantenne giovane napoletana che decide di trasferirsi a Roma dopo una storia importante finita con Luca. Espediente una zia Maria che si è sistemata con un romanaccio, Ivo, simpatico prototipo di una Roma sempre meno presente.
Gli zii le trovano un appartamentino in un condominio popolato da figure sociologicamente interessanti e la dotano di una Smart “Bettina”, di cafonesca presenza. Gabry riesce a trovare un’occupazione approfittando di un’amicizia pregressa con Martoretto, un suo ex spasimante che ha fatto carriera politica.
In tutto questo baillamme la donna viene coinvolta in una serie di omicidi che evidenziano la presenza di un serial killer di donne dove prorompe sulla scena un’ insolita figura di commissario, il meridionale Calzetta, che fa onore alla sua mediocrità onomastica “diventato poliziotto con i punti Miralanza”. Gabry ha anche un nuovo amore: l’atletico Matteo portiere dello stabile dove lavora, con un passato da ingegnere.
La qualità principale della storia della Fusco è data dalla leggerezza di toni e di situazioni che la avvicinano ai vissuti odierni, ma lungi dal degenerare in fiction false e lontane dalla realtà i suoi intrecci narrativi descrivono bene le condizioni liquide delle persone in bilico tra precarietà e difesa di identità. Secondo la lezione di scrittori come Rodolfo Sonego che affermava che “la ricerca del pubblico dell’aspetto umoristico sottende la loro voglia, attraverso questo strumento, di accettare anche l’inaccettabile”.
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