Pare di sentirli conversare, i due amici: lo scultore ben noto, Arnaldo Pomodoro, e Flaminio Gualdoni, il critico, coltissimo ma mai pedante né borioso, seduti nelle poltrone dello studio di Arnaldo, in via Vigevano a Milano. Amici i due lo sono davvero e hanno anche lavorato per qualche tempo fianco a fianco, presidente l’uno, l’altro direttore artistico della Fondazione voluta da Pomodoro in via Solari. La collana in cui esce il piccolo Dialogo con Arnaldo Pomodoro di Gualdoni nasce del resto, per volontà del curatore Gino Fienga, proprio per pubblicare “non fredde interviste ma dialoghi intimi e colloquiali” fra protagonisti della cultura contemporanea: per restituire “l’umanità che sta dietro le loro idee”. E la storia della Fondazione Arnaldo Pomodoro, oggetto della conversazione, è intessuta di ricordi, incontri con amici, difficili decisioni, ma soprattutto si nutre della generosità, umana e intellettuale, dell’artista, che ha voluto dar vita a un’istituzione non pensata a propria futura gloria e memoria ma concepita come un luogo propulsivo di studio e di proposte culturali (secondo i suggerimenti dell’amico Giulio Carlo Argan), tanto che nei suoi intendimenti essa avrebbe dovuto “da subito riguardare anche gli amici e gli artisti più giovani e in generale la scultura tutta: una fondazione in cui si [parli] compiutamente d’arte, non solo della mia”. Dopo i due primi studi in Porta Romana, Arnaldo (che a Milano era arrivato nel 1954 dal Montefeltro, con il fratello Già) alla fine degli anni Sessanta installa il suo studio in vicolo dei Lavandai, in uno spicchio della vecchia città artigiana tra Porta Ticinese e Porta Genova, per poi allargarlo nel tempo, acquistando i laboratori dei vicini che chiudono: “Arrivato a Milano, racconta , il mio sogno è stato di radicarmi in questa zona, tra le più belle della città , dove ancora si possono vedere le pietre antiche su cui si lavava e gli attracchi dei barconi”. E da studio che era, lo spazio diventa ben presto luogo dell’archivio delle opere più importanti, di cui Pomodoro conserva la prova d’artista o che riacquista sul mercato. La Fondazione nascerà nel 1995, con sede negli spazi di vicolo dei Lavandai, riletti da Vittorio Gregotti. Nella conversazione scorre tutta la sua storia, con lo spazio espositivo aperto nel 1999 a Rozzano, in una fabbrica di bulloni restaurata da Pierluigi Cerri, e poi, dal 2005, nella sede in via Solari: una porzione della vecchia Riva Calzoni rimodellata anch’essa da Cerri che ne fa uno degli spazi espositivi più belli della città, dove si organizzeranno mostre memorabili. Nel 2011, la chiusura: “i costi delle mostre assorbivano quasi tutte le nostre energie, e non era questa la vocazione primaria che avevo immaginato” (anche perché gli enti pubblici latitavano, aggiungiamo noi). Ma chi pensasse che Arnaldo Pomodoro, a 85 anni, si sarebbe arreso di fronte a queste difficoltà, non lo conosceva. Ora tutte le funzioni della Fondazione sono riunite in vicolo dei Lavandai, diventato studio, archivio, spazio espositivo e (futuro) museo. Lo spiega lui stesso: “è stato visitando lo studio-museo di Noguchi a New York che la soluzione mi si è chiarita [. ..}, l’ho trovato così umano che mi ha tolto qualsiasi perplessità. [. ..} Ma non mi piace parlare di studio-museo. Sarà la Fondazione Arnaldo Pomodoro. E basta”.
Ada Masoero
© Tutti i diritti riservati. Il Giornale dell’Arte
il volume Vicolo dei Lavandai. Dialogo con Arnaldo Pomodoro di Flaminio Gualdoni.
No responses yet