L’abitudine della guerra

Visioni9

La noia per le parole di chi catechizza e conosce la geopolitica come i risultati di una partita di calcio, senza considerare che nel mezzo ci sono pezzi di pelle, stralci di volti, curiosità negli occhi. Provo a ricordare le mie settimane nel freddo del conflitto nel Donbass, regione che era dell’Ucraina e che in qualche pezzo lo è ancora, ma una sua parte si è dichiarata autonoma, staccandosi da Kiev e proclamando le Repubbliche di Donetsk e Lughansk. Sono flash, perché ricordi di giacche pesanti, maglie termiche e passi da direzionare con attenzione per non farli impattare nel gelo.
Ecco treni notturni lenti e sovraffollati, perché la guerra crea fuga e diminuzione dei servizi, poi tanti piccoli bus, a cui affidarsi per attraversare il Paese e raggiungere le aree del conflitto, quelle spaccate, che un tempo univano vicini di casa e che ora invece sono piene di barricate. Succede che più si avvicina al Donbass e più aumentano i posti di blocco, che vicini alle linee del fronte si riempiono di giovani volontari. Ucraini, che vogliono difendere l’unità nazionale, convinti che dall’altro lato vivano solo difensori dei terroristi.
Documenti e rassicurazioni, perché dall’altro lato non ci saranno loro, ma i separatisti: quindi peggio per noi. Siamo occidentali, quindi teoricamente più vicini all’Ucraina. Per saltare dall’altro lato c’è bisogno di un permesso che giustifichi la nostra presenza in territorio controllato dai terroristi. Freddo e sole, questo che non scalda neanche l’illusione del calore.

I chilometri a cercare il riparo dal gelo contro finestrini solamente colorati dal sole, con aria tagliente da ogni lato, lo sguardo incuriosito ed infastidito degli altri passeggeri. Viaggiare con quei piccoli bus significa contatto ravvicinato con i propri ricordi sfaldati, perché le città non conservano più nulla di quello che era. La gente dentro queste carcasse ha sguardi vuoti e spaventati.
Check point continui in cui subire controlli e sospetti da chi è sempre stato vicino di casa, amico, collega o familiare. Ora sono dall’altro lato, quindi retorica da nemico da ingoiare. L’autonomia richiesta dalle regioni della Repubblica della Nova Rossia, costituitesi, per rigettare il potere centrale di Kiev, e l’ostruzionismo dell’Ucraina a tale richiesta hanno tirato su trincee.
Se i giovani volontari ucraini si preoccupano per occidentali in viaggio verso le zone che loro definiscono sotto occupazione dei terroristi, i miliziani “separatisti” agli avamposti conquistati da loro, con bandiere blu e rosse e tanto di effige di San Giorgio, con tutte le diffidenze del caso, chiedono di raccontare la verità in questo conflitto. Uomini e donne con mimetiche improvvisate che combattono il freddo col calore della lotta e la fame col desiderio di vittoria.

Le notti in trincea con i colpi forti a scandire la triste abitudine della guerra, da riconoscere tra quelli secchi e con i fischi, il sangue negli occhi per il sonno e le esplosioni troppo vicine, i pezzi di pane per cui accontentarsi e la vita smarrita in guerra, perché tanto non la si vuole mica più preservare.
Poi le abitudini perse nel gelo, senza finestre, con ricordi sparsi sotto mortai. Ed è così sia da un lato, che dall’altro, ovvero tutti colpevoli e vinti. I corpi ammassati all’obitorio, senza nome, senza uno straccio di documento per familiari alla ricerca perduta dei loro cari. Bombe. Abbandonare le case e cercare rifugi, come quelli sotterranei, in cui vivere in comunità, per continuare a respirare le proprie esistenze in un’emergenza banalmente chiamata guerra.

Col ricordo di quei chilometri sugli stinchi è davvero snervante assistere a sproloqui da geopolitica, sulle strategie, i disegni ed i giochi di potere da “secondo me”. Mi viene da scrivere solo dell’abitudine della guerra.

L’abitudine della guerra 

Mani sporche della lotta
di chi sputa la vita respirando ideali.
Suoni, luridi, con il sangue che brucia come unica sicurezza,
gli occhi grigi di una paura dimenticata,
i denti fermi per non riconoscere il nemico,
che ha le tue stesse dita sporche di fuliggine.

Foglie tese che nascondono mine,
passi per rischi,
riparo per ombre stanche.

La maledetta abitudine della guerra,
svuota l’anima,
riempie i timpani di silenzio
e la stupida illusione d’immortalità:
animali che solamente vogliono vivere
per ammazzare e dimenticare.

Chi lotta pensa solamente alla vita.
Tra un ultimo tiro di sigaretta,
il sangue negli occhi,
le pareti che tremano
e la morte che si può solamente leggere
nel ricordo delle lacrime di amati lontani.

Lorenzo Giroffi

Il racconto e la poesia inediti sono stati scritti da Lorenzo Giroffi, autore di Visioni Meccaniche per la nostra rubrica Visioni mondaniche.

Collana Transfert

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