Perché le pagine di un catalogo non bastano più?

Ma il catalogo di una mostra è ancora una cosa necessaria?

Sicuramente sì, principalmente per tre motivi.

Prima di tutti perché è – se fatto bene – uno strumento di ulteriore approfondimento rispetto ai contenuti che abbiamo visto durante l’esposizione. Non si riesce e spesso non si può mettere in mostra tutto. Non sempre si riescono a sintetizzare in una mostra anni di studio e quindi se uno vuole saperne di più, vuole scavare più a fondo in quell’argomento o nella vita di quell’artista si compra il catalogo e se lo sfoglia, se lo legge, se lo studia ecc. ecc.

Il secondo motivo è che, il libro o il catalogo che sia, è un documento che, in qualche modo, resta nella storia dell’arte, diventa un punto fermo, condensa e congela lo studio che si è fatto intorno ad un determinato argomento o ad un determinato artista e si trasforma in un oggetto che possiamo consegnare a tutti gli altri che saranno interessati a quello che stiamo dicendo.

Il terzo motivo è che è un oggetto bellissimo: è bello proprio in quanto oggetto, come regalo, come cosa da possedere, da collezionare, da prendere in mano e guardarselo, sfogliarlo, sentire il profumo della carta, della stampa. Insomma… tutti i bibliofili o, meglio ancora, i bibliomani all’ascolto sanno sicuramente di cosa sto parlando. È quasi un feticcio…

Ma la cosa più importante di un libro, o di un catalogo, ovviamente è il suo contenuto. Il libro, alla fine, è un supporto, è un mezzo per far arrivare ad altre persone quello che abbiamo studiato, quello che abbiamo scritto, oppure la vita, il pensiero, le opere di un artista che meritano di essere divulgate e fatte conoscere al mondo.

Ma la domanda è: il contenuto, attraverso il libro, quante persone può raggiungere?

A quante persone riesco a far arrivare tutta la fatica che ho fatto per riempire pagine e pagine di storie, di immagini, di racconto, di considerazioni, di idee…?

Poche, troppo poche… se pensate che la tiratura media di un libro si aggira intorno alle 1.000 copie vuol dire che il mio racconto non raggiungerà materialmente più di 1000 persone nel migliore dei casi. Se ci pensate sono davvero pochissime rispetto a quelli che potrebbero davvero essere interessati in ogni parte del mondo ad ascoltare la nostra storia, le nostre argomentazioni e magari, perché no, a discuterne con noi.

E quindi come possiamo fare?
Come facciamo a diffondere il nostro lavoro, il nostro pensiero oltre la fisicità della carta stampata?

Il libro, o meglio il contenuto del libro, il nostro contenuto, oggi ha sicuramente delle chances in più grazie al digitale, ai social, al web in generale. È lì che il libro deve andare a trovare una sua nuova e più ampia dimensione, una diversa capacità di arrivare ai suoi lettori, ai suoi interlocutori.

Credo davvero che sia giunto il momento di dare al libro una possibilità in più e far uscire le parole dalla carta stampata per usarle in una maniera nuova, attraverso canali nuovi, con mezzi nuovi.

Il libro, il catalogo, deve in qualche modo diventare un media con più dimensioni, che vadano anche al di là di quelle fisiche. Dobbiamo dargli una dimensione in più che ci permetta di arrivare non a 1000 o a 2000 persone, ma a centinaia di migliaia, una dimensione che permetta di far arrivare il nostro messaggio a milioni di persone.

Nel prossimo futuro quindi il lavoro dell’editore deve essere proprio questo: veicolare i contenuti in tutte le forme possibili e attraverso tutti i canali possibili, adattando la forma di volta in volta a seconda dei mezzi e dei canali, facendo diventare il contenuto come l’acqua, liquido e capace di adattarsi ai vari contenitori che andranno ad ospitarlo.

Il digitale ci da questa grande possibilità e siccome fare arte, fare cultura, vuol dire anche e soprattutto divulgarla e metterla a disposizione di tutti, sfruttiamo questa possibilità e diamo al libro una nuova e grande chance: diamo al libro tradizionale una nuova e infinita dimensione.

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