Cataloghi d'arte

Sono diversi anni ormai che, come casa editrice che si occupa di arte contemporanea, ci poniamo con sempre più insistenza lo stesso quesito: vale ancora la pena oggi – nel 2019 – stampare cataloghi d’arte? In fondo gli italiani leggono sempre meno, a quanto mostrano le statistiche più recenti dell’AIE: il fatturato dell’industria editoriale italiana rivela un poco incoraggiante -0,4%.


Ma forse il catalogo non è esattamente come un libro qualsiasi, il suo scopo è differente, così come le sue caratteristiche e il tipo di pubblico a cui parla. Con il passare del tempo la nostra opinione ce la siamo fatta, ma non è mai statica: muta di continuo, e si plasma a seconda dei cambiamenti – sempre più veloci e imprevedibili – della nostra società, soprattutto in campo tecnologico. Anche il catalogo d’arte in apparenza sta perdendo forza, esattamente come il libro – o il giornale -, sostituito dalle mille altre forme di intrattenimento digitale che ci circondano e che, progressivamente – e inesorabilmente – stanno prendendo il posto delle tradizionali forme di comunicazione: probabilmente perché più facili e veloci da fruire.
Netflix, Youtube, i social network, sono solo alcuni esempi. C’è l’imbarazzo della scelta, ed emergere – in questo marasma digitale che è diventato il campo dell’intrattenimento – è sempre più difficile. Pieni di dubbi e di domande, ma soprattutto armati di curiosità, voglia di imparare, e di scoprire punti di vista diversi sull’argomento, abbiamo deciso di aprirci, e di cercare un dialogo all’esterno. Abbiamo iniziato con l’intervistare persone che hanno fatto della cultura e dell’arte il loro mestiere, come artisti, galleristi e direttori di musei: a ciascuno di loro abbiamo chiesto se trovano ancora utile stampare cataloghi d’arte. Il primo protagonista delle nostre interviste è stato Lorenzo Balbi, il Responsabile Area Arte Moderna e Contemporanea del Mambo, l’unico museo d’arte contemporanea di Bologna.


Alla nostra domanda sull’utilità del catalogo cartaceo, Lorenzo Balbi ci ha risposto che la memoria cartacea è ancora importante, perché è quella che rimane, resiste al passare del tempo. Le mostre passano, ma i cataloghi restano. E il catalogo è ancora importante per l’artista, perché rappresenta uno strumento, una sorta di consacrazione. Ma, dall’altro lato, secondo Balbi il catalogo deve in qualche modo rinnovarsi, superare il modello classico – tradizionale – ancora esistente. Balbi immagina – e in qualche modo ha già realizzato in qualche mostra di cui ci ha parlato durante l’intervista – un catalogo che diventa un’opera d’arte: un ulteriore spazio espositivo, addirittura. Un oggetto quindi di valore – un valore intrinseco -, e unico. Insomma, un’ulteriore opera d’arte che si aggiunge a quelle presenti in mostra, e non più solamente una sorta di “elenco” delle opere dell’artista, costituito solo dalle classiche foto con descrizione sottostante. Per Balbi il catalogo, realizzato secondo questo principio, potrebbe diventare addirittura un’occasione, un’opportunità, per dare un valore aggiunto alla mostra. Un prodotto cioè che non sia una specie di replica della mostra appena vista, ma che abbia una vita a sé stante.
In conclusione, secondo Balbi quello che deve essere superato non è il catalogo cartaceo, quanto il “modello catalogo”, cioè il modo di fare il catalogo: bisogna trovare nuove strade, senza però staccarsi del tutto dalla propria natura.  


Noi non possiamo che condividere l’opinione di Lorenzo Balbi. Pensiamo che il catalogo sia ancora un oggetto bellissimo, anche da collezionare, oltre che uno strumento di ulteriore approfondimento di opere che, magari, non si sono potute portare in mostra. Rappresenta, inoltre, un documento che rimane nella storia dell’arte, che diventa un punto fermo. Ma, oltre a ciò, pensiamo che il catalogo debba adeguarsi ai tempi, cercare per quanto possibile di arrivare alle persone anche attraverso altri mezzi, superando i confini e i limiti della carta. Il catalogo d’arte quindi deve essere capace di adattarsi ai cambiamenti della società, senza però mai perdere di vista la sua forma, e funzione, originaria.  

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