Paola Zancani Montuoro nel trentennale della scomparsa

Paola Zancani Montuoro, decana degli archeologi italiani, si spegneva in questo giorno nella sua villa del Pizzo a Sant’Agnello, all’età di 87 anni

Paola Zancani Montuoro era nata a Napoli, in un clima di vivaci fermenti culturali, il 27 febbraio 1901. Il padre Raffaele Montuoro era un estroso giornalista, la madre Clotilde Arlotta proveniva da una facoltosa famiglia che annoverava fra i suoi membri politici, industriali, banchieri. La vocazione allo studio la indirizzò verso le scuole classiche e poi verso la facoltà di Lettere presso l’Università di Napoli. Una felice deroga alle abitudini cittadine che, in genere, precludevano alle giovani del suo ceto l’accesso alle scuole superiori. È un sintomo dell’ambiente colto, aperto, illuminato nel quale la Zancani aveva avuto la ventura di nascere. Fra i docenti che maggiormente suscitarono il suo interesse vanno ricordati il pompeianista Antonio Sogliano e Giulio Emanuele Rizzo che aveva affrontato i grandi temi della storia dell’arte antica e lo studio della monetazione della Sicilia antica. Con il Rizzo la studiosa si laureò magna cum laude nel 1923. Nello stesso anno partecipò ai concorsi per le scuole di perfezionamento in archeologia di Roma ed Atene. Li vinse entrambi e nel 1927 partì per la Grecia dopo aver sposato Domenico Zancani, anch’egli allievo, e poi assistente, del Rizzo, che ritornò ad Atene per seguire il secondo anno. La Scuola Archeologica Italiana di Atene era ed è rimasta il vivaio della migliore archeologia italiana.

Ad Atene ben presto lo sposo Domenico Zancani morì per un’epidemia di tifo e la giovane consorte ne raccoglierà l’eredità scientifica dedicando un’ampia parte del suo impegno di archeologa allo studio dei pinakes locresi: tema, appunto, della tesi di laurea di Domenico. Dall’allora direttore della Scuola Archeologica di Atene, Alessandro della Seta, eminente archeologo, e da altri studiosi ella trasse proficui insegnamenti. Ne rimane il segno nel suo primo lavoro nel quale la Zancani dà la misura della propria capacità di sintesi e del proprio acume, L’origine della decorazione frontonale (1925), dove con piglio sicuro ella affronta un tema che recenti scoperte avevano reso particolarmente attuale e confuta l’opinione corrente sull’origine di questo tipo di decorazione.

L’attenzione che in questo saggio era rivolta alla produzione magnogreca denotava già nella studiosa una precisa scelta di campo. In un altro lavoro La “Persefone” di Taranto (1933), ricostruendo la storia di una scultura trafugata clandestinamente dall’Italia e approdata ai Musei di Berlino, emerge il suo impegno civile nella tutela del patrimonio artistico. Con la pubblicazione di questo studio iniziò la collaborazione della Zancani con la Società Magna Grecia, una libera associazione fondata nel 1920 da Umberto Zanotti Bianco, nobilissima figura di filantropo e antifascista, che aveva dedicato la propria vita allo sviluppo del Mezzogiorno. L’archeologia della Magna Grecia era allora in una fase ancora pionieristica, dalla quale la andava traendo l’opera di un grande studioso settentrionale, Paolo Orsi (Rovereto, 1859-1935). Prima Zanotti Bianco e poi Paola Zancani ne raccoglieranno l’eredità scientifica.

La scoperta che colloca la Zancani fra i grandi nomi dell’archeologia è quella dell’Heraion alla foce del Sele. Fin dai suoi primi anni di studio ella si era interrogata sull’interpretazione delle fonti e, in particolare, su due passi di Strabone ed uno di Plinio ove si menzionava la presenza alla foce del fiume Sele di un santuario fondato da Giasone e dedicato a Hera Argiva. Nel 1934, grazie alla sovvenzione della Società Magna Grecia, la Zancani iniziò con Zanotti Bianco l’esplorazione della piana del Sele. Oltre ai disagi di quel luogo desolato, inospitale e infestato dalla malaria i due studiosi dovevano subire la presenza costante della polizia che sorvegliava a vista l’antifascista Zanotti. Si seppe, in seguito, che il Ministero, ostile ai due archeologi dissidenti, aveva autorizzato lo scavo fino all’esaurimento della cifra che rappresentava il contributo della Società Magna Grecia: ottomila Lire. Per non interrompere lo scavo, a causa della esigua somma disponibile, la Zancani e Zanotti escogitarono, nei rendiconti da inviare alla Soprintendenza, un sistema singolare di contabilità delle spese sostenute: spendevano mille e segnavano cento o dieci… Il risultato degli scavi, condotti fino al 1940 e ripresi poi dopo la guerra nel 1949 e fino al 1958, fu straordinario, e la scoperta fu salutata come la più importante dal lato storico, religioso, artistico avvenuta negli ultimi cinquant’anni in Italia.

Esattamente come aveva indicato Strabone, dopo la foce del Sele, a cinquanta stadi (circa nove chilometri) da Poseidonia (Paestum), presso la riva sinistra del fiume, a circa centocinquanta metri dalla foce, giacevano i resti di un grande santuario arcaico dedicato ad Hera, come subito dimostrarono le copiosissime statuette votive che rappresentano la dea seduta che regge un bambino sul braccio sinistro ed una melograna nella destra. Le più antiche risalgono al VII secolo a.C. È la stessa iconografia della Madonna venerata nella chiesa della vicina Capaccio che serba dopo tanti secoli l’aspetto di quella antica immagine di culto (si veda anche l’antica statua di S. Maria del Lauro: bambino sul braccio sinistro ed una melograna nella destra). L’impeccabile rigore nella metodologia di scavo e l’acutezza nell’interpretazione dei dati, unita all’eccezionale qualità dei reperti, fanno di questa scoperta una pietra miliare nella storia dell’archeologia. Non solo essa confermava la veridicità delle fonti ma avvalorava l’ipotesi di una precolonizzazione in tutto il bacino del Mediterraneo. Ciò significa che fin dall’epoca micenea navigatori greci si avventurarono verso i lidi di Occidente alla ricerca di materie prime e di scambi con le popolazioni indigene.

Una delle tante osservazioni della Zancani sui fregi del thesauròs e dell’Heraion del Sele è alla radice del suo saggio Sulla struttura del fregio dorico (1940): emerge in questo studio il modo di ragionare della Zancani che si vale dell’esame accuratissimo della documentazione per raggiungere poi, con un improvviso scatto logico, conclusioni estremamente originali.

Altri studi, che costituiscono la vasta bibliografia della studiosa, nascono dalla esegesi di alcuni miti illustrati sulle metope del Sele e mostrano quanto ampio fosse il suo raggio di indagini e di interessi nell’esplorazione di tutti i territori culturali del mondo antico.

L’altro tema che ha impegnato costantemente Paola Zancani lungo tutto l’arco della sua lunga attività è stato quello relativo alla pubblicazione dei pinakes locresi (tavolette votive, ex voto, decorate a rilievo e dipinte). Lo studio di questi reperti le era stato affidato da Paolo Orsi che, nei suoi scavi a Locri, ne aveva rinvenuto un cospicuo numero: tra esemplari intatti e in frammenti se ne contano più di cinquemila. Si tratta di una produzione indigena che si esaurisce nell’arco di poco più di un cinquantennio, fra la fine del VI e la metà del V secolo a.C. Paola Zancani si impegnò in un lavoro di cernita e ricostruzione di questo immane coacervo conservato nel museo di Reggio Calabria, anche se l’impresa ebbe degli esordi contrastati dall’archeologia ufficiale del regime per il dichiarato antifascismo della studiosa. La Zancani lavorò indefessamente per oltre trent’anni allo studio a alla sistemazione dei pinakes. In una serie di articoli illuminanti Paola Zancani anticipò molte di quelle che sarebbero state le sue osservazioni destinate all’edizione completa dei pinakes ripresa in questi ultimi anni da un gruppo di giovani studiosi ed edito negli Atti e Memorie della Società Magna Grecia con un’impostazione fedele alle geniali anticipazioni di Donna Paola.

La vocazione meridionalistica la spinse in molte altre direzioni sul territorio della Magna Grecia.

La ricerca del sito dell’antica Sibari, la più ricca e rinomata colonia greca di Occidente, era stata oggetto di un’indagine di Zanotti Bianco nel 1932, ben presto interrotta per il divieto dell’autorità fascista. Il progetto, ripreso con il concorso della Zancani nell’ambito delle attività della Società Magna Grecia, fu alla base di una serie di campagne che, dal 1960 in poi, hanno portato alla scoperta dell’antico abitato, del suo porto, delle sue necropoli. Paola Zancani fu l’anima e il nume tutelare di questo scavo, contrastato, non solo dal terreno acquitrinoso, prosciugato dall’azione continua di una rete di pompe aspiranti, ma anche da una dissennata volontà di urbanizzazione e industrializzazione della zona.

Pressoché nello stesso periodo (1960) e con il sostegno di fondi privati raccolti dalla Società Magna Grecia, ella iniziava gli scavi sulla collina della Motta e a Macchiabbate presso Francavilla Marittima, non lontano da Sibari, portando alla luce un abitato della media età del bronzo con santuari e necropoli prodighi di reperti notevolissimi, puntualmente illustrati dalla Zancani in numerosi articoli. L’insediamento attesta la pacifica convivenza di indigeni e greci. Gli scavi presso Francavilla Marittima proseguirono fino al 1969 e la loro illustrazione offrì alla Zancani numerosi spunti per importanti ed originali osservazioni.

Moltissime altre furono le discusse questioni di storia e di topografia magnogreche che la Zancani affrontò con il suo piglio sicuro ed originale. Ecco, quindi, i vari articoli su Sibari, su Paestum, su Locri, le ipotesi sulla ubicazione di Terina, di Siri, di Sirino, di Pixunte, le indagini sulla toponomastica, fossile guida per la storia più remota, il frequente ricorso alla monetazione per il suo valore iconografico ed epigrafico, l’uso costante e sapiente delle fonti antiche. Il suo appetito culturale era inesauribile e non vi fu scoperta magnogreca che si sottrasse al suo giudizio da due nuove metope di Selinunte, ad una stele in odore di falso, allo auriga di Mozia.

Negli ultimi anni i suoi interessi si concentrarono con particolare impegno alla penisola sorrentina ove risiedeva. La ricerca della ubicazione del santuario delle Sirene e del tempio di Atena, che le fonti collocavano sulla punta della Campanella, era sempre stata presente alla sua riflessione e vari cenni in proposito si trovano qua e là nei suoi saggi. Fu quindi con uno speciale entusiasmo che accolse nel 1985 la scoperta effettuata da Mario Russo di un’iscrizione osca incisa su una parete rocciosa proprio alla punta della Campanella. Nell’iscrizione si celebrava un nuovo accesso dal mare promosso dai sacerdoti (meddikes) di Minerva. L’eccezionale importanza di questa scoperta, sia per la lingua che attesta la presenza sannitica nella zona agli inizi del II secolo a.C., data appunto dell’iscrizione, che per l’esplicita menzione del tempio di Minerva, fu immediatamente colta dalla Zancani che, vista la ventennale e fruttuosa esplorazione del Russo nell’area circostante, prima lo accompagnò a Taranto nel 1985, al Venticinquesimo Convegno di Studi sulla Magna Grecia, per presentare l’importante scoperta agli studiosi provenienti da tutto il mondo, e poi ne promosse la pubblicazione, insieme a tutto il materiale del Santuario di Athena, raccolto negli anni dal Russo,  nella serie dei Monumenti Antichi Lincei (1990). Purtroppo ella non potè vedere l’uscita di questo volume, nel quale aveva profuso le sue ultime forze con la generosità e l’entusiasmo che mai la abbandonarono.

Anche se a volte poteva apparire autoritaria era in realtà schiva e timida, dotata di una bontà un po’ ruvida e di immensa generosità. Questa si volgeva sopratutto ai giovani verso i quali era prodiga di consigli e suggerimenti. Aveva una naturale propensione al magistero che non trovò adeguata realizzazione se non in forma di colloqui privali e in un breve, memorabile corso di tecnica di scavo tenuto presso la Scuola di Perfezionamento in Filologia classica presso l’Università di Napoli nel 1945.

La sua posizione di intransigente antifascista la aveva, infatti, tenuta lontana dall’archeologia ufficiale italiana durante gli anni del regime per oltre un ventennio (1922-1943). La carriera nelle Soprintendenze era preclusa alle donne e quella accademica richiedeva sovente umilianti compromessi. Paola Zancani fu e potè essere, una donna libera – il suo censo la affrancava da un lavoro dipendente – fedele alle tradizioni del liberalismo illuminato nelle quali era stata allevata. Ella fu sempre un ‘outsider’ con i vantaggi morali e gli svantaggi materiali che una simile posizione comporta.

Dopo aver vissuto a Napoli e saltuariamente anche a Roma si stabilì definitivamente nella sua villa del Pizzo, la vasta e splendida proprietà di famiglia a S. Agnello di Sorrento, nella quale si trovavano i resti di una villa romana e l’accesso al mare è ancora servito da una rampa che la Zancani definiva greca. E’ un’oasi felice, sopravvissuta intatta allo scempio edilizio che ha devastato gran parte della penisola sorrentina, grazie alla tenace difesa operata da lei e dai suoi congiunti contro ogni tentativo di sfruttamento e urbanizzazione. Da questa casa è transitata tutta l’archeologia militante degli ultimi decenni, giovani all’inizio del proprio tirocinio e studiosi illustri. Per ciascuno ella era ugualmente prodiga e disponibile.

Anche se non li cercò non le mancarono onori e riconoscimenti: fu la prima donna eletta nell’Accademia Nazionale dei Lincei nel 1947; fu membro dell’Accademia/Archeologia e Belle Lettere di Napoli, della Deputazione di Storia Patria per la Basilicata e la Calabria, della Pontificia Accademia di Archeologia, dell’Istituto Archeologico Germanico, della British Academy, della Hellenic Society di Londra.

Ha tenuto lezioni e conferenze in tutto il mondo.

Altro aspetto della sua operosità è quello di redattrice. Dal dopoguerra, prima con Zanotti Bianco e poi, alla morte di questi (1963) da sola, ha curato gli Atti e Memorie della Società Magna Grecia. Con lo stesso impegno si è dedicata alle pubblicazioni archeologiche dell’Accademia dei Lincei: Notizie degli Scavi, Monumenti, Memorie. Grazie alla sua azione stimolante ed alla sua presenza esse sono emerse da un lungo letargo.

Un’altra sede nella quale la sua autorità è apparsa indispensaibile sono stati i Convegni sulla Magna Grecia che dal 1961 si sono succeduti a Taranto con cadenza annuale. La sua eccezionale conoscenza del mondo magnogreco ha contribuito validamente a rendere questi incontri la palestra più qualificata per tutti gli studiosi della Magna Grecia.

Si deve sopratutto al suo costante impegno, alla sua appassionata e disinteressata dedizione ed al brillante stuolo di archeologi che sono stati stimolati dal suo esempio, se questa ‘terra incognita’, che aveva suscitato solo gli interessi romantici di eruditi e viaggiatori sette e ottocenteschi, è entrata nella storia dell’arte antica con una dignità pari a quella della madrepatria greca.

Mario Russo

(Questo testo è un libero adattamento del saggio di Licia Borrelli Vlad, ‘Paola Zancani Montuoro’, pubblicato nel volume: Mario Russo (a cura di), Paola Zancani Montuoro, Sorrento 2007, nel ventennale della scomparsa dell’illustre studiosa).

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