Fuocoammare di Gianfranco Rosi

 

Qualche anno fa chiesero a Calvino quale fosse stato il  romanzo migliore dell’annata letteraria. Ebbene l’uomo delle “Lezioni americane” disse: “Ladri di biciclette”, ossia una sceneggiatura di un film.

Ho pensato a Calvino – ed a Paolo Sorrentino – quando ho visto “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi che rappresenterà l’Academy italiana agli Oscar.
Come fare narrazione su questa Nuova Auschwitz postmoderna?, la migrazione di centinaia di migliaia di persone dai Paesi dell’Oriente asiatico e dell’Africa? Si può spiattellare il reale di una tragedia odierna senza filtri con il rischio di provocare il distoglimento dello spettatore e quindi la rimozione? O –  come fatto da Rosi – l’unica è usare il termine di comparazione della vita minima della comunità lampedusana?

Questa è stata la scelta dell’autore che ci ha restituito l’assurdità ultra normale dei nuovi fuggitivi per la vita accanto a quell’altra: la vita per il pane, l’educazione di un bambino, la profilassi medica di un vissuto italiano antico. Insomma un’opera d’arte che apre gli occhi pigri della nostra sazia società occidentale.

Cosa importa a noi dei problemi estetici di Paolo Sorrentino?

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