Il Mattino | Ritratto dell’artista da giovane. Sorrento celebra Salvator Rosa | di Riccardo Lattuada

Dopo il lavoro pioneristico di Luigi Salerno, e di studiosi di storia della letteratura il cui arco va da Benedetto Croce ad Umberto Limentani, l’interesse per Salvator Rosa (l’Arenella, Napoli, 1615 – Roma, 1673) pittore, intellettuale e poeta, è oggi alimentato da una nuova stagione di studi e di mostre in cui si sono cimentate due generazioni di studiosi italiani ed esteri: Stefano Causa, Caterina Volpi, Helen Langdon, Xavier Salomon e vari altri, tra i quali non ultima Viviana Farina, che già nel 2010 ha dedicato un volume al giovane Salvator Rosa per i tipi di Paparo. Non sorprende perciò che alla stessa Farina si debba ora una nuova esposizione in apertura a Sorrento, al Museo Correale di Terranova, per l’appunto intitolata “Il giovane Salvator Rosa. Gli inizi di un grande maestro del Seicento europeo”, aperta fino al 31 gennaio.

Il novero dei temi sul tappeto è vasto: l’inquadramento della formazione del pittore a Napoli, al suo ruolo nell’ambiente romano e in quello fiorentino; al suo eclettismo stilistico; al suo ruolo nelle accademie romane; alla questione dei riferimenti letterari e iconografici delle sue opere; allo sviluppo della sua poetica nel campo del paesaggio. Infine, su tutto, resta aperto il problema di comprendere i percorsi mentali ed esistenziali di un artista che ci ha lasciato una mole di scritti privati, di confessioni epistolari, di squarci autobiografici che non sembra avere paragoni nel panorama della pittura europea del Seicento.

Nella produzione giovanile di Rosa un complesso quadro di riferimenti culturali si intreccia in modo non di rado inestricabile tra cronologie di difficile definizione ed opere spesso sorprendenti per la complessità dei riferimenti figurativi.
In mostra a Sorrento, in quel piccolo gioiello misconosciuto che è il Museo Correale di Terranova, sono una ventina di opere che raccontano la prima parte della traiettoria di Rosa.
L’esposizione è innanzitutto incentrata sulla “Marina con pescatori” del Museo Correale, che la Farina situa tra le prime opere di Salvator Rosa e dunque nel complesso periodo in cui il giovane pittore della collina napoletana si misura con il suo rivale-dioscuro Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro, in pratica suo coetaneo, sotto l’ala di Aniello Falcone, che alla metà del quarto decennio del Seicento è un leader nell’affollata scena della pittura napoletana del momento. Rosa è imparentato anche con i fratelli Cesare e Francesco Fracanzano, maestri vicini a un altro gigante della pittura a Napoli, Jusepe de Ribera. L’influsso dello spagnoletto si avverte agli inizi della carriera di Rosa, quando il pittore si troverà a affrontare (non senza difficoltà: le pale d’altare non furono mai il suo forte) le non numerose commissioni di pale d’altare.

Aniello Falcone, uno dei più fini artisti del Seicento, insegnerà a Spadaro e a Rosa i segreti della pittura a figure piccole, che non voleva dire ‘minore’, ma si basava su una cura del dettaglio pittorico in grado di sfidare l’occhio esperto di mercanti e collezionisti, avidi di immagini potenti e ben dipinte. Chiamato l’Oracolo delle Battaglie, in realtà Falcone sapeva fare tutto; ed è la sua abilità a situare le sue battaglie in un contesto paesaggistico di grande forza atmosferica a interessare Spadaro e Rosa. Entrambi abilissimi, entrambi dotati di una estrema sensibilità nel fissare le immagini della natura, seguiranno strade la cui diversità appare tanto più impressionante se si pensa al fatto che lavorarono nello stesso ambito di genere. Il lascito di Spadaro è leggibile in quel che fece alla Certosa di San Martino a Napoli. Rosa – forse anche sotto la spinta dell’abilità del suo rivale coetaneo – affrontò presto il mare aperto del trasferimento a Roma. Il paesaggio di Spadaro è sempre solare e sereno, quello di Rosa è sempre attraversato da una condizione emotiva che va dalla malinconia al languore. La natura di Spadaro è  magicamente lambita dalla luce mediterranea, quella di Rosa contiene già la fascinazione del sublime che tanto a fondo colpirà il Settecento preromantico in Nord-Europa.

Il paesaggio di Rosa al Correale mostra la tensione del rapporto tra le figure degli astanti e un contesto maestoso, che giganteggia su di esse e con esse quasi dialoga. Le opere provenienti dal Museo di Capodimonte, da quello di San Martino, dal Filangieri e dalla Galleria Corsini, sono tutte segnate da questa componente, che fa uscire il lavoro di Rosa, pittore di paesaggi, dall’ambito della pittura di genere per consegnarci una sensibilità modernissima. Il “Paesaggio con derelitti”, in mostra, unisce un’immagine delle frange marginali della società seicentesca, che Rosa eredita dai Bamboccianti, con una natura rocciosa la cui nudità sembra quasi rispecchiare le povere esistenze dei personaggi, e al tempo stesso li solennizza come antichi filosofi stoici, portatori di verità tanto assolute quanto incomprensibili nel mondo dei potenti.

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