Cosa pensate di Banksy? Artista, writer o “marketer”?

La domanda è: ma se un’opera non è creata dall’artista in persona, è comunque considerabile un’opera d’arte?

Voi direte:ma se non è creata dall’artista, da chi è creata?

In realtà ci sono svariate possibilità. La prima e più diffusa è quella in cui chi mette il nome non è quello che ha realizzato materialmente il lavoro ma, nella maggior parte dei casi ci ha messo solo l’idea. Questa è una cosa che pochi dicono ma che ormai è diffusissima, soprattutto nella scultura.

Ascoltavo giorni fa un’intervista di Marco Montemagno a Federico Clapis e lo stesso Clapis diceva molto onestamente che già da molti anni ci sono i robot a cinque assi che torniano le opere degli artisti che, nel migliore dei casi, hanno fatto il modello originale in plastilina o in creta, dopodiché fanno fare la scansione e il robot ‘scolpisce’; oppure addirittura, anziché creare il bozzetto ‘a mano’, modellano direttamente in 3d appoggiandosi a dei modellatori professionisti. Secondo Clapis “già negli ultimi 100 anni il concetto di opera fatta manualmente è andata trascendendo, diventando si un valore aggiunto qualora ci fosse, ma non è più l’elemento determinante della riuscita dell’opera”.

Ma è davvero così?

Già facevo fatica ad accettare il fatto che la maggior parte, ad esempio, delle opere di marmo fosse fatta per lo più dalle espertissime mani degli scalpellini di Carrara piuttosto che dagli artisti che ci mettono la firma. Ma è davvero la stessa cosa se un’opera la fa addirittura una macchina programmata dall’uomo o peggio ancora un’intelligenza artificiale?

Pochi giorni fa sul Guardian è uscita la notizia che da Christye’s è stata venduta – per ben $432,500 – la prima opera creata autonomamente da un algoritmo. E infatti in basso a destra al posto della firma c’è un’espressione matematica. La cosa incredibile è che davvero non è un prodotto della mente umana, ma l’artista è proprio una formula algebrica inventata da un collettivo di artisti e ricercatori francesi che si chiama Obvious e che si è focalizzato sull’esplorazione dell’interazione fra arte e intelligenza artificiale.

In pratica loro hanno creato un sistema a cui hanno dato in pasto circa 15.000 ritratti realizzati fra il XIV e il XX secolo. L’algoritmo è composta da due parti una chiamata Generator e un’altra Discriminator. Il Generator crea una nuova immagine in base al set che ha a disposizione, dopodiché il Discriminator cerca di capire le differenze fra un’immagine creata da un essere umano e quella creata dal Generator. Lo scopo è quello di prendere per il culo il Discriminator e fargli credere che la nuova immagine è un vero ritratto. A quel punto il gioco è fatto! E spunta fuori così la presunta opera d’arte firmata da parentesi quadre e tonde.

Il dipinto venduto a New York, quindi ritrae – in stile pressoché XVIII secolo, non finito/tela rovinata – un personaggio che ovviamente non è mai esistito, frutto solo della fantasia dell’algoritmo, ed esteticamente potrebbe anche avere una sua fredda dignità, ma non è questo il problema.

Richard Lloyd, il responsabile internazionale di stampe e multipli di Christie’s – che ha ideato tutta questa storia – pensa che “L’intelligenza artificiale è solo una delle diverse tecnologie che avranno un impatto sul mercato dell’arte del futuro, anche se è troppo presto per prevedere quali potrebbero essere gli effettivi cambiamenti”. Quasi fosse l’inizio di una nuova era.

Jonathan Jones, il giornalista del Guardian, invece, sostiene che l’arte è il modo in cui la coscienza dell’uomo esprime se’ stessa e questo è vero a partire dai graffiti delle caverne fino all’orinatoio di Duchamp, passando da Rembrandt e tutti quelli che ci sono stati in mezzo fino a ieri. Questo è quello che davvero manca al Ritratto di Edmond Bellamy e, forse – tornando anche ai robot che ‘scolpiscono’ le opere a partire da scansioni o dai modelli 3d – manca in generale quando un’opera non è un filo diretto che parte dall’anima attraversa la mano e cambia la materia.

L’arte, oltre a comunicare idee – e già questo non è più così scontato – deve riuscire ad innescare uno scambio di sensazioni, di percezioni, di emozioni; deve creare un feeling fra l’artista e lo spettatore attraverso quel medium che di volta in volta può essere un dipinto, una scultura, una foto, un’installazione, ecc.

Quindi, è corretto chiamare arte un qualcosa prodotto da una macchina che replica senza passione ‘semplicemente’ degli input matematici?

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