Non ci si stancherebbe mai di sentirlo parlare, tanto grande è la capacità di sommare al ricordo del suo passato di ragazzo, segnato da esperienze indelebili, quello di archeologo ostinato che non ha mai smesso di studiare, ricercare, approfondire. In qualche modo Mario Russo è un enigma, che traduce con semplicità l’autorità dell’intellettuale e la forza di chi, radicato alle origini provinciali, ne sottolinea il valore e l’apertura verso il mondo intero.
Stimato e rispettato nel mondo della cultura, protagonista di scoperte che hanno cambiato il senso e la storia dell’archeologia nella Penisola sorrentina (e non solo), già ispettore onorario per l’archeologia, è autore di decine di pubblicazioni, anche responsabile della Biblioteca con migliaia di volumi, dell’Archivio storico e della Sezione archeologica del Museo Correale di Terranova a Sorrento.
In una pausa del lavoro che, con amore, ostinazione e passione, a ritmo alternato lo vede alla sua scrivania o lo spinge verso nuovi ritrovamenti archeologici, ricordando racconta. Con la semplicità che è la forza dei grandi.
Vuole partire dal principio e raccontarmi come è iniziata la sua storia?
Sono ultimogenito di otto figli, nato in una famiglia semplice e modesta, che però mi ha insegnato tanto attraverso l’esempio, il rigore e anche i silenzi. Anche da laureato, parlo ancora il dialetto, che è una lingua che racconta una storia, e quando voglio parlo italiano!
Come, quando e perché l’archeologia diventò una disciplina da studiare ma soprattutto una passione da coltivare?
Sono stato fortunato perché ho avuto insegnanti che, in un modo o nell’altro, hanno influito sulla mia vita, il resto l’hanno fatto l’ambiente (specialmente villa Cosenza a Meta dove ho trascorso l’infanzia e la giovinezza) e le tante persone che ho conosciuto. Ricordo due insegnanti della scuola media: la napoletana Teresa Acocella, piuttosto giovane e incinta, che leggeva i classici greci, ad esempio, quasi con un sentimento di nostalgia per Ulisse, -che per essere precisi dovremmo chiamare Odisseo-, e la bellissima Minerva Buonocore, che insegnava disegno. Al primo piano della Scuola media, la sala di disegno era piena di riproduzioni di vasi antichi che smuovevano la mia fantasia… In una sorta di anticipazione, mentre i miei compagni disegnavano piante e fiori, io su un cavalletto disegnavo sempre un vaso o un anfora! Quando l’insegnante mi veniva vicino e mi circondava le spalle, per reggermi la matita e insegnarmi a mettere le ombre, io mi emozionavo… Tante le emozioni e le cose vissute in quegli anni…Ricordo quando con mio padre, che andava a caccia, da Meta raggiungevamo la Punta della Campanella. Mi lasciava libero di tuffarmi e fare il bagno, non senza avermi raccomandato di non immergermi mai dal lato… napoletano! Emergeva sempre il ricordo di Ulisse, delle Sirene e del santuario della dea Atena che un tempo dominava la Punta della campanella.
Fu in una di quelle occasioni alla Campanella che scoprì la prima iscrizione osca del II secolo avanti Cristo?
Fu proprio cosi. Nel 1985 (mio padre era ormai scomparso da circa un decennio) scoprii l’iscrizione rupestre. La Campanella è stata una costante del mio vagare alla ricerca di testimonianze passate, anche perché, come ho appreso da Paola Zancani , “ tutto scompare ma non del tutto”. Al faro della Punta della Campanella la fantasia volava… L’immagine che mi è rimasta più impressa è quella delle imbarcazioni dei contrabbandieri di sigarette che in una lunga teoria di barche costeggiavano e rifornivano…
I suoi studi? Anche altro oltre l’archeologia?
Dopo aver frequentato l’Istituto nautico, mi sono laureato in Lingue e letteratura straniera. Avrei voluto iscrivermi ad architettura, ma provenendo dall’Istituto nautico, non era allora possibile. Ho il pallino dell’architettura. Non a caso i miei simboli, i miei ispiratori, sono Amedeo Maiuri e Roberto Pane. Non sono mai mancato alle loro conferenze! Venendo da una famiglia dignitosissima ma modesta, uno degli ostacoli è che volendo continuare a studiare, alcune facoltà erano inaccessibili. Mamma, negli abituali silenzi in cui viveva, pur in una casa rumorosissima, quando le accennai della mia intenzione di continuare a studiare, mi disse: “Hai pensato ai soldi?”. Sono andato avanti iscrivendomi all’Orientale e studiando e lavorando fino alla laurea.
Una sua caratteristica?
Sono curioso. Il primo anno di università, che ho frequentato a Napoli, non ho mai smesso di attraversare cardi e decumani. L’occhio vede e lo studio mette a punto. Conta e serve camminare senza mai stancarsi. In alcuni casi soffro molto a dover stare in compagnia, anche se mi piace stare con gli altri, ma per vedere, approfondire, scoprire… devo essere da solo. Quando vedo qualcuno che si ferma ad osservare le vetrine trascinandosi dietro persone che pensano a tutt’altro, mi viene in mente un verso di Montale: “ Spesso il male di vivere ho incontrato…”
Quali sono le sue recenti scoperte del passato fatte nel territorio in cui vive?
Un edificio di IV/III secolo a.C. e monumenti pubblici romani come le terme pubbliche, il teatro, la palestra… Sorrento, come del resto Napoli e altre città, ha una sua città sepolta…
Per sempre archeologo?
Sono archeologo, anche se, nonostante abbia avuto riconoscimenti internazionali e considerato autorevole collega, ci sono arrivato “di traverso”. Come potrei farne a meno? Vivo in un territorio di profondo radicamento italico dove ancora nel II secolo avanti Cristo, questo popolo indigeno si affacciava sul mare tra due realtà greche.
E se le chiedo cos’è per lei l’archeologia?
Sono come un bambino senza genitori, che va alla loro ricerca. In un percorso che mi appare eroico… in cui nonostante una lunga esperienza, mi sento un autodidatta.
Ha mai avuto rimpianti?
Mi sento un uomo di mare.
C’è stato nella sua vita un segno che ritiene importante?
Paola Zancani è stata un segno grande nella mia vita. Una grande studiosa e autorevole nel mondo archeologico, una donna eccezionale.
Quanto conta l’indignazione e lo sdegno?
Molto. Conta che una persona libera abbia la capacità di parlare. Me l’ha insegnato mio padre e non lo dimentico mai.
Che cosa pensa dell’autorità e del potere?
Se guidata dal buon senso l’autorità è seria, il potere può anche essere ignorante e arrogante, contro il quale non poche volte ho dovuto lottare.
Ha mai vissuto o provato la paura? E di che genere?
Oggi mi fa paura l’ansia di non riuscire a portare avanti i miei studi, come quello che ho in corso relativo alla Cattedrale di Sorrento del periodo IX-X secolo.
Si considera forte?
Si, perché con forza ho dovuto sempre portare avanti e dimostrare le mie idee, anche nella battaglia di Punta della Campanella con il Fai.
In generale quali sono le cose che predilige e nel suo lavoro i periodi?
L’antichità greco-romana è per me essenziale. Poi mi piacciono tante altre cose e mi interessano altri periodi…
Una persona che ha contato lasciando un’impronta nella sua formazione?
Fin da piccolo ho una venerazione per Roberto Pane, un uomo polemico ma che non ha mai agito… fine a se stesso! Mi ha dato una grande impronta.
Vive una condizione che le piace, legata al suo lavoro di responsabile della Biblioteca e dell’Archivio del Museo Correale?
Si. E’ quella di indagare sulle collezioni del Museo e aver potuto scoprire autori grandi e misconosciuti. E di questo sono orgoglioso. Seguo anche tante tesi di laurea mettendo a disposizione degli altri tempo e ricerche.
Che cos’è Sorrento per lei?
E’ il mio paese di elezione. Non so staccarmi da Sorrento ideale, che non vedo più e che cerco sottoterra, attraverso testimonianze, anche minori ma fondamentali.
Giuliana Gargiulo
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