Una persona civile

Gennaro Chierchia ci regala un altro racconto per la nostra rubrica Visioni mondaniche. Vi auguriamo, come sempre, buona lettura e vi chiediamo: per voi chi è una persona civile?

Una persona civile

Ho dormito coi barboni una notte, nella stazione centrale di Milano, mentre a una quindicina di metri al di sopra della mia testa un operaio ripuliva dalla fuliggine, dentro una maschera e una tuta bianca, le grandi volte di acciaio a difesa dei treni frecciarossa che, come siluri costosi, riposavano sui binari dopo avere fiancheggiato per ore la dorsale appenninica del Bel Paese a una media di 300 chilometri orari. Solo un sedile di ferro separava la vecchia conciata come una baldracca da me; emanava un fetore che non avrei sopportato a lungo se, magicamente, non fosse scomparso all’improvviso (o forse erano solo le mie narici che se n’erano presto assuefatte). Se non avessi dormito una notte all’addiaccio non potrei immaginare come i barboni potessero farlo tutti i giorni; ora so che ci si può abituare anche a questo e che questa società è davvero un’illusione; che uno può campare con niente. Mi sono vaccinato contro la strada; casomai questa un giorno vorrebbe prendermi in seno io le dirò che sono pronto. Sono stato uno scout ma non è la stessa cosa; allora ero un ragazzo e avevo il conforto dell’incoscienza e del gioco. Ma quando sei un adulto e tutto quello che ti circonda è uguale a se stesso e pretende di insegnarti a vivere come esso vive allora certe esperienze fuori della norma sono un tuffo nell’oblio che ti fa rimettere tutto in discussione. Avevo soldi per affittarmi una stanza ma non avevo voglia di farlo per poche ore e amici cui chiedere un giaciglio ma non sono uno cui piace scomodare gli altri e quando il mattino dopo l’hanno saputo sono rimasti esterrefatti; io sono rimasto più sconcertato di loro nell’apprendere dalla loro reazione che siamo diventati così «civili» da esserci dimenticati le nostre origini animali. L’altro giorno ho visto un servizio in televisione su un tizio che, rimasto senza lavoro, aveva abbandonato la società e si era ritirato in montagna dove viveva in una caverna. Quando doveva mangiare scendeva giù in paese e si recava alla Caritas, poi tornava nella sua caverna dove, guarda un po’, scriveva. Ovviamente il suo sogno era poter vivere di quello. Ciò non succedeva in uno sperduto paese americano o chissà dove nel mondo ma qui, in Italia. Paradossalmente oggigiorno sognare di vivere come gli animali, provare a riappropriarsi dei propri istinti primordiali, anelare alla libertà nel senso letterale del termine è divenuto appannaggio esclusivo degli artisti, di coloro i quali sono gli individui più astratti, meno concreti per definizione. Solo loro sono pronti a vivere di espedienti e a mandare a farsi fottere il consumismo che «consuma» la nostra bella società civile. Io sono emigrato a Novara per un posto di lavoro; per la prima volta in sei anni da che sono andato via ho ottenuto un incarico  fino al termine delle attività didattiche dal Provveditorato. Ero così contento che avrei accennato qualche passo di danza davanti alla commissione ma sono una persona così perbene che non l’ho fatto. Tra qualche anno otterrò il posto fisso, quello che mi farà stare tranquillo per tutta la vita. Ma è davvero questa la mia felicità?, la felicità che anela un italiano?, un individuo della società? Eraclito, il famoso filosofo greco, diceva che solo gli stolti preferiscono la certezza all’incertezza perché mentre la prima implica il tedio la seconda invoglia a vivere. Per lo stesso motivo sono più importanti le domande che le risposte: se avessimo una risposta a tutto non avremmo più sorprese, non ci sarebbero più scoperte. In definitiva l’uomo morrebbe perché non avrebbe più stimoli per vivere. Così come ora desidero la stabilità così domani rimpiangerò la precarietà e mi dirò quanto era bello vivere alla giornata. Ho dormito coi barboni una notte nella stazione centrale di Milano; un vecchio colla barba incolta mi ha chiesto l’elemosina ma io, da bravo uomo civilizzato, ho mostrato la mano a pistola e l’ho scossa anche se i soldi ce li avevo. La ragazzina araba che mi stava seduta accanto ha depositato una moneta nel suo bicchiere; il vecchio l’ha esaminata e gliel’ha ridata perché la valuta era straniera. All’una i barboni sono arrivati a frotte come un branco di zombie e si sono sistemati sui cartoni sotto le mura portanti della stazione; la Polfer andava in pattuglia in gruppo come se temesse una sommossa. L’operaio a terra manovrava con un grande telecomando la gru a forma di ragno all’estremità del cui braccio meccanico era attaccato il cestello dove stava quello che puliva le volte. Gli sparuti passeggeri che ancora scendevano dai treni e transitavano per la stazione si ritrovavano i capelli impiastricciati della fuliggine che cascava loro in testa; guardavano in alto stupiti, si facevano una risata e correvano via. Io seduto sulla sedia di ferro, la borsa a tracolla per timore che me la portassero via, verso le due e mezzo mi sono appisolato, ho dormicchiato una mezzora, mi sono svegliato, mi sono accertato di avere ancora il portafoglio e il telefonino nuovo nelle tasche, ho cambiato posizione, mi sono appisolato, ho dormicchiato una mezzora, mi sono svegliato, mi sono accertato di avere ancora il portafoglio e il telefonino nuovo nelle tasche… Prima di prendere il treno regionale delle cinque e diciotto per Novara ho raggiunto i bagni a pagamento ma quelli sarebbero stati aperti solo alle sei. Non l’ho fatta a terra solo perché ero e resto una persona civile (nonostante il male che ciò comporta).

Gennaro Chierchia

Collana Transfert

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One response

  1. La stazione centrale di Milano. Una nottata vissuta da barbone, con sguardo acuto e sensi curiosi, pronti a cogliere discordi elementi di vita come i pulitori del treno di lusso e la ‘baldracca’. Calato in quella veste provvisoria il personaggio di G.C. coglie le sensazioni di chi così vive con lo stupore di dover riconoscere anche in se stesso adattamenti impensabili: l’abitudine permette un’ accettazione che esclude dai sensi anche il lezzo della sporcizia.
    Come si può giudicare la qualità della vita?
    Una socialità costruita su valori di agi e apparenze determina oggi il modo di intenderne le qualità, e l’abitudine permette di accettare il proprio ruolo spesso con apatia e rassegnazione, concependo come sicurezza la stabilità. Eppure, si introduce il pensiero dello scrittore , Eraclito diceva che solo gli stolti preferiscono il certo per l’incerto: è l’ inquietudine di una domanda sempre aperta che lo rende uomo libero. Libertà di essere che solo l’artista sembra possedere oggi.
    Il pesonaggio di Chierchia vive un momento di disagio provvisorio (è in attesa di un lavoro che lo collocherà di nuovo fra amici ‘normali’), in lui la parte ‘civile’ è ancora forte e lo dimostra nel rifiutare l’elemosina ( mentre ha ancora qualche soldo in tasca) al vecchio che la chiede( elemosina che invece concede la giovane araba seduta accanto a lui), e, prima di lasciare la sala della stazione, nel residuo pudore con cui decide di mantenere il riserbo sulle proprie intime necessità.

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