L’apartheid ed il cibo elettronico

Visioni Mondaniche
Eccomi a fare i conti con i tempi bizzarri del sole londinese. Provo ad inseguirlo per un po’, illudendomi dei due minuti di raggi che mi hanno investito. Mi ritrovo così a Wood Green, un agglomerato della potenza che può essere questa città. Efficienza sulle strade, sequenza di alimentari di estrazioni etniche differenti:  odore di cibo turco e vodka russa; annunci immobiliari e di tutto fare nelle lingue più disparate; la cordialità imposta a tutti, ma la difficoltà evidente di restare per più di venti minuti con la stessa persona, in un medesimo posto, senza avere mete o appuntamenti. Sognando uno spazio morto dove poter non seguire il sole, m’imbuco in un pub ormai a me familiare. Vetrata che affaccia sulla strada, odore di legno, scintillio di bottiglie sul bancone, la calma placida di chi beve birra di primo pomeriggio e la scelta di perdere il proprio tempo con una gamma larga di alcolici. Simpatici vecchietti, dalle sciarpe slacciate, le guance che riprendono colore e labbra bagnate dal desiderio di bionda tra le mani. In assenza del sole nei parchi, questo pub è un buon riposo per questo pomeriggio. Immagino la classe dei lavoratori, che un tempo riempiva le fabbriche, traino della Regina e del pugno di ferro del neo-liberismo, che ora respira la propria pensione qui, in gruppi spaiati di tavoli. Alcuni sono seduti da soli ai tavoli, coi baffi grigi e la lentezza della birra, altri in gruppi al massimo di tre, che a sorsi e pause alternano battute immediate, con sorrisi a seguire. Non penso di avere la loro stessa grazia nei confronti del tempo. Senza che alcun cameriere m’assalga, perché potrei restare qui per ore senza richieste d’acquisto, m’avvicino al bancone ed ordino un whisky. Immediato, suadente e viscido. Lo butto giù e mi libero della splendida lentezza di questo posto. Esco. Passo dall’altro lato del marciapiede, mi lascio un grosso incrocio alle spalle, confidando nella nascita delle stelle dal cielo grigio sopra la mia testa, ma è ancora troppo presto. Di fianco un negozio di elettronica, con la serranda chiusa, ci sono varie scatole piene di materiale elettrico da buttare, prossime alla discarica. Nel rumore ordinato, fatto di fruscii di voce e sbuffate di bus, un uomo in carrozzina viene notato da cinque uomini di statura possente, con la camminata sicura ed i giubbetti aperti: impavidi nella sfida al freddo. Passando di fianco l’uomo dalla ricerca elettro-commestibile, i cinque lanciano un urlo, che sa d’insulto, anche se non capisco bene cosa stiano farneticando. È una parlata dell’est. Sghignazzano in maniera insopportabile, oltre ogni codice. Stringo i pugni irrefrenabilmente e prometto alla mia inquietudine che se i cinque continueranno, fermandosi ad importunare, lascerò andare ogni forma di raziocinio. I cinque chiedono qualcosa, in maniera minacciosa, all’uomo accasciato sul marciapiede. Da sotto il cappello, dal quale nascondo la mia fronte, faccio spuntare i miei occhi incazzati e mi rivolgo loro sapendo di non poter proprio incutere terrore: grossi, in gruppo ed all’apparenza senza tanti fronzoli. Nel momento in cui tiro fuori la voce mi si rimpolpa la convinzione che una raffica di colpi sono pronti ad investirmi. In realtà è solo uno ad agitarsi particolarmente, che viene subito portato via dagli altri. Si dirigono lontano, m’insultano e mi urlano che il negozio di elettronica è il loro, quindi sono in diritto di preoccuparsi anche della spazzatura di fuori. Resto con la solita nebbia nel petto, che vaporizzandosi rende anche ridicola la propria azione. Immobile di fianco quest’uomo che ha interrotto la sua ricerca per ringraziarmi e chiedermi da dove provenga. Gli rispondo che da qualsiasi porto io abbia portato la mia brutta faccia il freddo è sempre lo stesso e quando si ha fame la sensazione è la medesima ovunque. Continua ad articolare il discorso nel solito fottuto accento londinese, con l’ulteriore difficoltà comprensiva delle parole lasciate nei buchi dei suoi denti. Chissà cosa stia dicendo in questo suo farneticare, desiderando un panino al neon e dando morsi a lampadine usate. Resto per un po’ in sua compagnia, poi abbandono entrambi sul marciapiede, lui fermo ed io mobile verso casa del mio strambo amico Rob.

Mi lascio alle spalle la biblioteca pubblica di Wood Green, con corsi sparsi tra loro, scaffali di libri distanti, calore per i barboni, giornali gratuiti per chi ha perso la mattina o i penny per comprarli.

Mi ritrovo a casa di Rob, con l’ingresso basso, la porta bianca ed una marea di inutilità sull’uscio. Lui è stato un ingegnere. Non è neanche troppo vecchio, ma ha deciso di godersi la pensione anticipata occupando tutta la sua esistenza con campagne sociali, chiacchiere ed estremo ottimismo. Il pavimento di casa sua è un continuo dislivello nel quale calpestare quadri, libri, pentole e stivali. Nonostante ciò vuole che lasci le scarpe fuori dalla porta, per camminare scalzo in casa, per preservare chissà cosa.  Entro sapendo come ormai abbia deciso di prolungare la notte, sentendo già il mal di testa di domani mattina e le infinite chiacchiere mischiate a schiuma di birra qui, al cospetto di quest’adulatore dei diritti umani. Uno che si definisce attivista è scontato che poi riempia la tua testa di parole a raffica. È sovraeccitato per la vittoria ottenuta in città contro Veolia. Una multinazionale francese che fa affari in tutto il mondo, tra acqua, spazzatura e trasporti. In Palestina compie una vera e propria discriminazione, depositando nei territori occupati la spazzatura israeliana e soprattutto gestendo reti di pullman e di tram (in costruzione), che passano nei territori palestinesi della Cisgiordania, senza che le persone di quel posto possano usufruire del trasporto, perché riservati solo ai coloni. Veolia aveva in ballo un contratto con la municipalità Nord di Londra ed un gruppo di convinti attivisti ha fatto pressione sui referenti politici, affinché non si siglasse tale accordo finanziario, per non legittimare una compagnia che compie apartheid. Dopo due anni di battaglie, manifestazioni, relazioni umane e cordoni, uno sparuto gruppo guidato da Rob è riuscito a fare pressione sulle Municipalità e Veolia ha perso il suo affare a Londra Nord. Tra le cose accatastate su mura e pavimento ci sono i cartelli delle manifestazioni, con slogan e disegni. Rob è una sorta di bambino molleggiato, dopo una vita passata ad inseguire numeri e formule, ora me lo ritrovo  dinanzi mentre mi gironzola proponendomi cibo gommoso ed alcolici disparati. Si diverte a mostrarmi le cravatte a forma di strumenti musicali, a parlarmi della sua amata Scozia e delle parole latine che conosce per raccontarmi di una Roma imperiale che non m’interessa.

Sono ormai esausto, mi poggio su una zolla di suolo libero dalle cianfrusaglie di Rob. Resto qui, almeno per questa notte.

LG

Collana Transfert

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